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La testimonianza più remota della creazione delle Case del Confort risale al 1932 nella legazione giapponese di Shanghai, tramite una lettera dove il responsabile militare della legazione chiede il permesso di realizzare una casa del Comfort per venire incontro alle … chiamiamole “necessità” dei soldati giapponesi ed evitare il perdurare dei numerosi stupri che rendevano la popolazione locale ostile nei confronti dei militari giapponesi.

Inizialmente erano donne giapponesi o dei territori occupati, di età non inferiore ai 21 anni, che volontariamente decidevano di fare parte del corpo delle Janfu, vennero istituite case del comfort un po’ ovunque nei territori.

Con il passare del tempo le volontarie iniziano a ridursi; il coinvolgimento degli Stati Uniti nel Secondo Conflitto Mondiale aggrava ulteriormente la disponibilità di ragazze perché il Governo Giapponese decide di cambiare politica per cui le donne giapponesi non possono è non devono più fare parte del corpo delle Janfu i soldati al fronte devono pensare alle loro donne solo come madri, sorelle, mogli e figlie.

Da quel momento la situazione muta profondamente, da volontarie si trasformano in schiave sessuali, ed il reclutamento avveniva o con l’inganno attraverso la complicità di funzionari locali che promettevano alle ragazze lavoro come operaie, infermiere od altro a seguito delle truppe imperiale; attraverso contrattazione con le autorità locali, quando il reclutamento con l’inganno non riusciva a trovare abbastanza adesioni, le autorità locali venivano costrette a cedere alle truppe nipponiche un numero sufficiente di ragazze per evitare stupri di massa e risparmiare le altre ragazze; oppure prelevando con la forza le ragazze.

Di questa fase della storia che va dal 1938 al 1943 si ha pochissima documentazione perché alla fine della guerra tutto venne distrutto, restano poche lettere dei soldati e purtroppo poche testimonianze da parte delle vittime, perché ogni volta che le truppe nipponiche dovevano ritirarsi prima di andare via uccidevano le Janfu oppure le abbandonavano nella jungla, per non lasciare traccia di ciò che era stato.

Inoltre le poche sopravvissute, si ritiene che solo 1/3 delle ragazze coinvolte riuscì ad uscire viva dalle mani dei giapponesi, una volta rientrate nei propri villaggi vennero emarginate dalla società locale.

Si stima che le “Comfort Women” come sono state definite le Janfu dalle truppe alleate, siano state dalle 20.000 alle 410.000, la cifra più accreditata è di 200.000 erano donne di età compresa tra i 15 ed i 22 anni, ma si sa anche del reclutamento di bambine di 10 anni.

Le Comfort Women provenivano principalmente da Corea, Taiwan e Cina, ma anche dalle Filippine, Tailandia, Vietnam, Malaysia, Indonesia, Birmania, India, Isole del Pacifico e Olanda.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie all’aiuto di diverse associazioni alcune sopravvissute, decidono di raccontare la loro storia, il calvario patito rivive attraverso il ricordo, dovendo presenziare a diverse udienze internazionali venendo avvolte credute ed altre no.

Da allora si sono susseguite da parte dei governi giapponesi conferme e smentite, fino ad arrivare a dicembre del 2015, quando il Giappone porge nuovamente le sue scuse alla Corea del Sud per le sofferenze inflette alle “Comfort Women” nel corso della Seconda Guerra Mondiale ed istituendo un nuovo fondo da un miliardo di yen a favore delle “Comfort Women”.

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Dalle testimonianze raccolte si stima che in media ogni Comfort woman, subiva almeno 5 violenze al giorno con casi limite di 30 violenze quotidiane.

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“Molte storie sono state raccontate su orrori, brutalità, sofferenze e inedia delle donne olandesi nei campi di prigionia giapponese. Ma una storia non fu mai raccontata, la storia più vergognosa della peggiore violazione dei diritti umani commessa dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale: la storia delle Comfort women, le Jugun Ianfu.

 “Nei cosiddetti centri del comfort, sono stata sistematicamente picchiata e violentata giorno e notte. Anche i dottori giapponesi mi stupravano ogni volta che visitavano i bordelli per visitarci a causa delle malattie veneree”.

Sopravvissuta Jan Ruff-O’Herne

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“La vita per noi non aveva più senso. E se qualcuna provava a ribellarsi, era la fine. Una sera la più giovane tra noi, che aveva forse 13 anni, cerco di sottrarsi alle attenzioni di un ufficiale giapponese particolarmente violento. Fummo tutte radunate nel cortile; la ragazza che aveva osato opporsi allo stupro venne trascinata per i capelli fin nel centro. Un soldato le staccò la testa di netto con la sciabola. E il suo corpo fu ridotto in tanti piccoli pezzi”.

Sopravvissuta Hwang So Gyun, rapita a 17 anni

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“...le donne piangevano ma non c’importava se le donne vivevano o morivano. Noi eravamo i soldati dell'imperatore. Sia nei bordelli militari che nei villaggi, violentavamo senza riluttanza”.

Soldato giapponese Yasuji Kaneko

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“Come Primo Ministro del Giappone, io dunque rinnovo le mie più sincere scuse e il mio più sincero rimorso a tutte le donne che furono sottoposte ad immensurabili e dolorose esperienze e che soffrirono ferite fisiche e psicologiche incurabili nel ruolo di comfort women”.

Primo Ministro del Giappone Tomiichi Murayama

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